Di esami di maturità e rivincita delle secchione
C’è una bellissima scena ne La Meravigliosa Signora Meisel in cui il padre della protagonista si rende conto di aver sbagliato nel valutare i suoi figli. Si rende conto che suo figlio è un mediocre burocrate e che gli ha sempre dedicato tutte le attenzioni, mentre sua figlia , di cui vengono prese in giro le scelte per tutta la serie e che aveva valore ai loro occhi solo in quanto bellissima donna regolarmente sposata e con due bei bambini prima dei trent’anni, aveva creato una carriera dal nulla basata sul suo talento e ricomprato la casa di famiglia. Se ne rende conto mentre sta cercando di spremere il nipotino convinto che esista un gene maschile magico nella loro famiglia che lo farà sbocciare, e dopo aver passato ore a provare a insegnargli un pezzo al pianoforte, vede la nipotina in silenzio sale sul panchetto e lo suona a memoria avendolo solo ascoltato tante volte.
La serie ha un esito felice su questo punto (SPOILER): si vede la figlia della signore Meisel diventare una scienziata formidabile molto legata al nonno che ne ha sostenuto il talento matematico.
Penso spesso a quella scena. Ho molte piccole fan che mi conoscono per i miei video online in cui interpreto una bambina stressata per i lavoretti dell’asilo dalla terribile e demanding Suor Carla. In quella serie il tema dei lavoretti è un pretesto per parlare di lavoro, ma ai bambini piace perché parlo di cose che vivono e li riguardano. In tour porto sempre con me un braccialetto di perline con scritto “chica mala” fatto da una di queste bambine. I bambini e le bambine di solito mi si buttano addosso abbracciandomi e raccontandomi tutto dei dinosauri e commentando i miei orecchini perché vedendomi sempre in video sentono di conoscermi. So che quando le mamme si preparano per venire ai miei show poi chiedono di vedere come fossi vestita, ed è per questo che includo ingenti dosi di paillettes e bigiotteria. Se la mamma e il papà devono assentarsi per una sera, che sia almeno per una che ha la decenza di mettersi un po’ di brillocchi addosso, sennò cosa ci vai a fare sul palco, a ‘sto punto fai un podcast.
Sono assolutamente allineata al loro pensiero. I bambini e le bambine fanno parte del mio pubblico e sono una delle ragioni per cui sono molto parca di volgarità (o, se ci sono, faccio in modo che siano non direttamente comprensibili). Ho anche molti ragazzi e ragazze, e mi fa davvero piacere quando mi fermano per chiedermi una foto per le mamme o dirmi che gli è piaciuto un mio pezzo su Comedy Central.
E Giugno, la fine della scuola e gli esami sono un periodo in cui i ragazzi prendono un po’ di spazio nelle comunicazioni.
Il periodo degli esami di maturità apre infatti le cataratte degli articoli sulla performatività. Ragazzi virgola state sereni punto esclamativo l’esame di maturità non conta niente, il voto non conta niente, quello che sapete non conta niente (a volte insieme al fertile limo pronto a fecondare il terreno di queste menti arrivano anche i detriti conclusivi di realismo: “perché voi non contate niente”).
Perché l’unica vera Maturità era la nostra, le nostre tracce sì che erano difficili, Topolino era più bello, la musica era migliore, noi sì che sapevamo come essere giovani. Credo esistano dei subreddit dietro alle tavole di Hammurabi che riportavano esattamente questo concetto, con incluso qualche riferimento al Festivalbar.
Ed esiste anche la sottotrama di quelli che ancora raccontano funamboliche prodezze per copiare tutto. Legioni di inteneriti adulti stempiati ancora ricordano con i lucciconi di quando hanno truffato lo Stato rappresentato in un afoso corridoio - che nel 2003 ha raggiunto la temperatura di Mercurio ma in fondo anche il nostro caldo era migliore - da un insegnante statale mezz’età che chiunque avrebbe esonerato dal servizio in quei giorni causa rischio cardiocircolatorio. Ragazzi, i professori vi vedevano, ma erano pagati troppo poco per impedirvi di copiare e avevano assoluto bisogno di non riavervi in classe l’anno dopo. È ora che lo sappiate.
Annidata in questa sottotrama, scovata come il villaggio di Asterix, esiste però una minuscola comunità: quella delle Secchione. Quelle ragazze brave, bravissime, che volenti o nolenti hanno fatto diplomare tutta la classe passando esercizi e versioni. Quelle a cui i voti alti piacevano e davano soddisfazione e aprivano orizzonti.
Ed è di loro che parleremo.
Negli ultimi due giorni le mie storie di Instagram si sono popolate di racconti ed esperienze di ex-secchione.
L’origine di ciò è stata la mia condivisione di un’intervista degli anni settanta che stava girando nei reel: a una classe di bambine di quinta elementare veniva chiesto se avrebbero frequentato le medie, e molte di loro rispondevano che no, non avrebbero proseguito con la scuola. Il motivo? Dovevano aiutare in casa. Badare ai fratellini. Il loro compito era badare agli altri. E quindi dissi “cari maturandi, se non volete dare del vostro meglio a questo esame per voi stessi, fatelo almeno per vendicare loro che probabilmente avrebbero voluto” (mi rendo conto che questo sia un discorso un po’ da Mariapiaga Spiegoni, la boomer tipica che ti dice “mangia, pensa ai bambini in Africa”, ma vi prego di concedermelo perché comunque le radici profonde non gelano e un po’ di Mariapiaga è in me come Voldemort era in Harry.)
Osservai quanto fosse recente questo video: se quelle bambine avevano dieci anni nel 1972 significa che sono Boomer a pieno titolo, e che quindi oggi le vediamo e le frequentiamo. Non stiamo parlando di un lontanissimo passato da cui possiamo dirci lontani anni luce in usi e costumi. Anzi.
Iniziarono i primi messaggi di conferma, da parte donne giovani le cui mamme e nonne che hanno dovuto smettere di studiare per occuparsi degli altri.
Anche se erano brave, anche se avrebbero voluto studiare. Anche se erano più brave dei fratelli.
Anzi, soprattutto se erano brave: una pratica erede di questo approccio e che è pietra angolare nei ricordi scolastici di molte è essere state Bambine Che Non Danno Mai Problemi a cui veniva affiancato il Bambino Turbolento. Così lo calmi. Tu sei brava, tu capisci. Ti ha rubato il quaderno di Poochie tagliato lo zaino di Sailor Moon minacciata con un coltello alla fermata dell’autobus (ho riassunto esempi veri che mi sono arrivati via messaggio, N.d.A.)? Cerca di capire.
Li chiamano Bambini Camomilla, ma un “tu sei brava/grande/assennata dopo l’altro sono diventati Bambini BENELUX perché il loro reale ruolo è “Stato cuscinetto”.
A questo punto la mia casella di messaggi di Instagram era - per rimanere nelle metafore delle reminiscenze scolastiche - una polveriera pronta a esplodere.
Centinaia di messaggi, racconti, esperienze che vanno dalle piccinerie ai reati contro la persona contro il patrimonio e falsi in atto pubblico subiti da queste bambine, poi ragazze, che hanno vissuto queste sopraffazioni er mano dei loro assistiti (o assistite, perché il bullismo comunque è un settore inclusivo e le ragazze possono sognare una carriera da bulla esattamente come i maschi) e -sigh- degli insegnanti.
La causa è da ricercarsi probabilmente nel solito gigantesco buco di risorse di cui si parla sempre: tolti gli insegnanti che dai racconti si evince avessero davvero la sfera emotiva di un’alga infestante (auguro all’insegnante che ha rubato il quaderno di Poochie a quella bambina di non trovare mai parcheggio), il quadro è quello di dipendenti statali pagati tre anacardi e lasciati da soli di fronte a venticinque bambini con necessità per le quali servirebbe un adulto formato e non una quindicenne che fa gli scout. Probabilmente alcuni ricorrevano a queste piccole assistenti per pura disperazione. Bambine risorsa strategica come la Bauxite.
Mi hanno scritto infatti anche numerose insegnanti: a volte l’unica maniera per sopravvivere è responsabilizzare chi è già responsabile, lasciare da parte gli studenti molto dotati e dal carattere collaborativo perché quelli che invece sono lenti o in difficoltà sono semplicemente troppi.
Mettiamola così: se in una classe hai una bambina geniale che ha inventato un nuovo tipo di razzo, due bambini che vogliono costruire il razzo e sei bambini che vogliono far volare il razzo abbracciandolo e dandosi fuoco alle pete è evidente che la priorità è occuparsi di quei sei bambini.
Questo però ha un costo, e se sembra che nessuno stia pagando è perché a pagare sono queste piccole Lise Simpson che magari nemmeno si accorgono di quanto sia sbagliato che degli adulti affidino loro dei compiti da adulto. Bambine che dovevano lavare e accompagnare in bagno un compagno che “era stato affidato a loro”, o che venivano sgridate se il fratellino dislessico falliva in un tema perché “è compito tuo”, o che si devono sincerare che i fratellini facciano i compiti e non si infilino le biglie nel naso perché “tu sei la grande” (e magari sono solo più grandi di un anno e mezzo).
Dove finisce il talento di queste bambine, che quando manifestano frustrazione si sentono dire “se non aiuti sei egoista”?
Finirà nelle attività più semplici, perché le è stato ripetuto che i suoi voti alti contano meno perché “si sa che è brava”.
Finirà magari a fare un lavoro di cura (perché immagino che alcune si dicano “se devo salvare tutti che almeno mi paghino” quando non “ho valore solo quando aiuto”, ma è solo un’ipotesi mia per carità non mi metto a fare diagnosi) o ad essere la collega che si sobbarca tutti i lavori extra, compra i regali per il pensionamento di tutti, si assicura che tutti abbiano compilato il file presenze della festa di Natale, ma guarda un po’ non verrà mai promossa. Magari sei tu che leggi e che non festeggi mai I tuoi risultati perché sono ovvi, sei sempre stata brava, anzi se fallisci in qualcosa hai deluso il mondo perché tu devi essere sempre bravissima. Ho scritto uno sketch proprio su questo.
Perché quella ha imparato che lei deve esserci per il Sistema, ma il Sistema non ci sarà per lei.
Nessun evento per le donne nelle carriere STEM potrà mai sanare la ferita di una bambina a cui viene detto di smetterla di alzare la mano perché “fa rimanere male gli altri”, i cui compiti venivano valutati di meno perché “sicuramente ha copiato o si è fatta aiutare” e che vedeva il bambino suo pari delle classe venire trattato come genio mentre lei veniva solo additata come sgobbona cocca della maestra.
Non sono riuscita a leggere tutti gli sbrocchi nati da questi ricordi. Posso solo sintetizzare: la cultura di assistenza obbligatoria a prescindere dalle inclinazioni e il mettere da parte il proprio talento per non emergere e non infastidire gli altri inizia molto presto, e esiste perché è una base invisibile della società.
Ora darò una formula che è una mia stima e si basa esclusivamente sulle mie osservazioni quindi non stiamo a sindacare sulla precisione:
Bambina Che Non Dà Mai Problemi + Bambino Turbolento + Insegnanti e Genitori che avrebbero beneficiato di ingenti dosi di terapia prima di vedersi affidare dei minori = il 60% del welfare sommerso di questo Paese.
Se il PIL venisse misurato il numero di compiti fatti due volte dalle bambine brave che dovevano salvare il compagno in difficoltà e da figlie che si accollano interamente la gestione dei parenti anziani perché “sono l’unica in grado di farlo” saremmo il Lussemburgo.
La bravura delle ragazze deve essere direzionata alla cura di qualcuno. Le ragazze devono essere utili. Se pensate che questo dogma sia parte del passato, fate mente locale sulle donne che conoscete: sono sicura che conosciate decine di donne esauste, e neanche una donna riposata. Ci butto quello che volete che le donne che abitano la vostra vita dicono “oggi mi occupo di me stessa” e poi passano sei ore a riordinare l’armadio.
Ci sono anche casi di bambini, lo segnalo per correttezza. Ma la maggior parte di queste testimonianze mi è arrivata da ragazze, quindi riporto ciò che ho visto. Se siete stato o stata uno di questi bambini, fatemelo sapere nei commenti, magari ne parliamo anche qui tutti insieme.
Chissà come sarebbe se tutte le bambine brave avessero un adulto che si dice “lei va supportata in quello che fa”.
Chissà quante Signore Meisel in ogni campo.
Fatemi sapere la vostra!
Presente ex bimba sempre brava, rimproverata perché alzava troppo la mano, che ha aiutato quanto possibile alla maturità... Adesso faccio l'insegnante di sostegno, almeno mi pagano. Dò comunque un occhio alle dinamiche della classe, e provo a tenere d'occhio anche i bravi/le brave che, confermo, sono spesso ignorati perché ci sono emergenze da affrontare mente loro "non danno problemi". Ah, terapia ne ho fatta a palate, è servita a riequilibrarmi dopo anni di ansia devastante per dover restare sempre al top delle performance. Grazie di queste condivisioni!!
Quella bambina finirà, nel migliore dei casi, in terapia o a leggere questo post, che è un è po' la stessa cosa.
La cosa peggiore è il reiterarsi di alcune dinamiche anche a lavoro, da adulte, quando pensi di aver superato la fase della "bambina che non deve mai dare problemi". Ti senti dire: "Sai dobbiamo essere un po' come dei genitori di *collega non all'altezza*, starle accanto e insegnarle le cose" e tu sei lì che, pur non potendo avere figli, sai di non essere così disperata da adottare una collega con la tua stessa RAL ed esperienza. Si fatica a liberarsi da quel senso di colpa di cui parli. Una volta raggiunta la consapevolezza, è poi ancora più difficile interrompere e rimodulare queste dinamiche con eleganza ed ironia, pena sembrare solo una pazza, rosicona ed iraconda.